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 Vorrei dare una lettura del vangelo che abbiamo ascoltato in questi due giorni, che è l’inizio del discorso della montagna, cioè Mt 5,1-16.

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È la prima volta, nel vangelo di Matteo, che Gesù si rivolge alle folle, avendo inizialmente solo predicato strada facendo “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. Ma ora, sul monte e di fronte alle folle, Gesù siede e apre la bocca per proclamare il vangelo, e la prima parola che egli pronuncia è “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”.
È la porta di ingresso nel vangelo, la porta di ingresso nella beatitudine e la via al possesso del regno dei cieli, e questa porta è la povertà in spirito, cioè la povertà nell’interno. Sono contento che la porta di accesso sia la povertà di spirito, perché è la sola via accessibile ad ogni uomo, dal momento che se vogliamo essere obiettivi non vi è uno solo di noi che non debba ammettere di essere povero dentro, privo cioè di qualsiasi valore col quale rendersi da sé degno del regno dei cieli, degno di Dio. Se avesse detto “beati i buoni” o “coloro che sanno pregare” o ancora “coloro che fanno molte opere buone” o “che non hanno peccato”, non sarebbe stato un annuncio di salvezza, ma di condanna per tutti. Egli esordisce invece affermando “Beati i poveri in spirito”. Io mi guardo dentro e non trovo che povertà, vuoto, e non posso forse concludere che il Maestro sta includendo anche me in questa beatitudine? A condizione che io mi riconosca povero in spirito non tanto a parole, quanto col mio modo di fare, rinunciando a vantare meriti, diritti, superiorità e cose del genere. Poveri lo siamo tutti senz’altro, ma riconoscersi tali con coerenza e verità, beh questo è un altro discorso. Perciò Gesù dice “poveri in spirito” essendo lo spirito dell’uomo la sua parte più interna, il luogo della sua più intima verità.
Una porta aperta per tutti, dunque, o meglio per chiunque lo voglia, poiché la povertà è la sola cosa davvero accessibile all’uomo, ciò che ci accomuna tutti, nessuno escluso. Nessuno è escluso dall’entrare in questa beatitudine, e Gesù lo ripeterà ancora quando dirà: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi” e ancora in un’altra occasione “Chiunque ha sete venga a me”. Non mi fermo oltre su questo punto fondamentale del vangelo, su cui però potremmo dire tante cose.
Le beatitudini iniziano, quindi, con un invito a tutti. Ma propongono un percorso, fatto di vari passi che derivano ciascuno dal precedente. E ad ogni passo la beatitudine presentata è più elevata, poiché si giunge a parlare di mitezza, di misericordia, di purezza del cuore, di essere operatori di pace, fino a giungere alla più elevata di tutte: “Beati voi quando vi insulteranno e perseguiteranno…per causa mia…”. La seconda beatitudine nasce dalla prima e dice “Beati quelli che esprimono lamento”. Perché esprimono una sofferenza, se non perché sono consapevoli della loro interna e radicale povertà, senza affaticarsi per mascherarla nella finzione del potere, o della ricchezza, o nella ricerca di affermazione di sé? Beati coloro i quali fanno pace con la sobria e realistica condizione della vita che consiste nella presenza di ciò che ci manca e di tutta una serie di sicurezza che gradiremmo avere in nostro possesso ma che ci sono precluse alla radice, e motivo dei limiti congeniti alla nostra situazione che condividiamo fondamentalmente con ogni uomo e ogni donna che viene in questo mondo. Direi che la seconda beatitudine non è altro che l’espressione della prima, così come evidentemente la terza è la genuina manifestazione della seconda, e consiste nella mitezza. E così via…
Viste così, le beatitudini mi appaiono come un percorso dall’interno verso l’esterno, che parte dalla reale situazione di partenza del discepolo (l’interno del suo spirito) e giunge fino alla interazione col mondo, una interazione che comporta eventualmente contrasto e persecuzione a motivo di Cristo e della sua parola, fermo restando che il carattere e lo stile con cui il discepolo si pone di fronte a questo sono quelli che Gesù ha descritto nelle sette beatitudini, e cioè mitezza, misericordia, purezza di cuore, atteggiamento di pace, e non certo arroganza, superbia, spirito di rivalità e cose del genere.
Credo che Gesù stia indicando una via, nella quale chiunque è il benvenuto a due condizioni: la prima è che si riconosca povero in spirito, e la seconda è che sia disposto a fare i passi successivi che ne derivano come conseguenza coerente, in vista di un risultato nei confronti del mondo.
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E qui veniamo brevemente al vangelo di oggi, che a mio avviso chiude la prima parte del grande discorso che Gesù ha iniziato, e lo chiude con l’auspicio che gli uomini giungano a dare gloria al Padre che è nei cieli. I discepoli che hanno intrapreso il percorso che il Signore ha indicato possono diventare qualcosa di cui il mondo ha bisogno, anche se forse non ne ha consapevolezza, cioè sale e luce. Essi però non devono portare sale e luce ma devono essere sale e luce. Gesù dice “lo siete”, e si rivolge evidentemente a coloro ai quali si è rivolto in precedenza dicendoli beati, a quei “voi” a cui ha parlato nella parte finale delle beatitudini, e perciò può dire che costoro sono sale della terra e luce del mondo.
Li dice sale della terra e luce del mondo. Terra e mondo non sono sinonimi. La terra indica la fisicità del luogo in cui esistiamo, il mondo invece indica la rete sociale di pensiero dell’umanità, il nostro essere strutturati secondo filosofie e modi di pensare. Questa terra manca di sale che contrasti la naturale tendenza di tutte le cose alla corruzione, e il mondo ha bisogno di luce per poter discernere vie e comprendere ciò che nella tenebra è impossibile apprezzare.
Tutto questo allo scopo di fare sì che gli uomini giungano a dare gloria al Padre di costoro che sono diventati sale e luce. Dare gloria a Dio è ciò di cui abbiamo bisogno. Sembra strano dire così, vero? Eppure ho nella mente le parole di san Paolo nella lettera ai Romani, quando afferma che l’origine dei guai è quando gli uomini non riescono a trovare la via per gioire della bellezza di Dio, e cadono così nel deludente fraintendimento del cercare gioia nelle creature, degradandosi passo dopo passo. Voglio citare le parole dell’apostolo:
Pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.
Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa (Rm 1,21b-32)
Da queste parole capiamo la relazione che c’è tra la luce che permette di vedere e conoscere, e il sale che preserva dalla putrefazione. Gli uomini hanno bisogno di bellezza, di gioia, altrimenti si avventano gli uni sugli altri, corpi e menti bramosi di altri corpi e altre menti, attratti dal bello delle creature sulle quali scatenano il loro bisogno di gioia e di bellezza fino a degradarsi per l’ovvio motivo che la creatura, pur bella e attraente, non riesce a dare soddisfazione stabile a questo profondo bisogno che è in noi, che cerca in ultima analisi la bellezza di Dio, cioè la sua gloria.
 

Il futuro che possiamo aspettarci

 

(Is 11,1-10 e Lc 10,21-22)

“Che cos’è l’uomo perché ti ricordi di lui o il figlio dell’uomo perché tu te ne curi? Di poco l’hai fatto inferiore agli angeli, di gloria e di onore l’hai coronato e hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi”. Avendogli assoggettato ogni cosa, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Tuttavia al presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. Però vediamo Gesù che, pur reso per un po’ di tempo inferiore agli angeli, è ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti (cfr Eb 2,6-9)

 

Che tensione tra ciò che vediamo oggi e ciò che la Scrittura ci assicura essere la promessa di Dio! L’uomo è dichiarato grande fin dal principio della creazione (cfr Gen 1,28) e tuttavia questa grandezza non appare ai nostri occhi, dal momento che l’essere umano sembra l’unica vera minaccia all’equilibrio dell’intero pianeta, lungi dall’esserne il signore e il custode. E però, dice la lettera agli Ebrei che ho citato sopra, vediamo Gesù coronato di quella gloria e di quella bellezza che sentiamo nostra, di cui abbiamo così grande nostalgia. Di questa bellezza, che non è altro dalla nostra umanità, del futuro che ci è lecito aspettarci e del meccanismo mediante cui possiamo appropriarci di tutto questo, ci parlano le letture di oggi.

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Voglio seguire la linea che ho esposto sopra, in tre passi: la bellezza dell’umanità di Gesù che non è altro dalla nostra umanità, poi il futuro che ci è lecito aspettarci, e infine il meccanismo mediante cui possiamo appropriarci di tutto questo.

La bellezza dell’uomo

Anzitutto il profeta Isaia ci descrive la completezza armoniosa del germoglio di Iesse, questo virgulto che spunta, diremmo inatteso e insperato, sul tronco ormai reciso della discendenza di Davide, poiché la linea regale sembrerà spenta dopo l’esilio e non ci sarà più un re come guida per Israele. E così sembrerà per secoli, fino a che “colei che deve partorire partorirà” e Dio donerà al suo popolo un uomo nelle più belle caratteristiche della nostra umanità, uno che ridarà speranza in un futuro non solo per Israele ma per tutta l’umanità. Tanti lungo la storia si sono proposti come modelli e leader, ma nessuno di loro è paragonabile allo splendore di Gesù di Nazareth.

Su di lui si poserà lo Spirito del Signore, con le sue tre coppie di caratteristiche: sapienza e comprensione, consiglio e forza, conoscenza (del Signore) e timore del Signore. Sono tre coppie di manifestazioni dell’unico Spirito del Signore, che si richiamano ed equilibrano l’una con l’altra, come nella menorah ebraica a sette braccia. La comprensione della realtà è un’ottima cosa, e consiste di analisi e di dettaglio, ma è in lui bilanciata dalla sapienza, che vede il senso e l’armonia del tutto. La forza è indispensabile per l’uomo, ma essa rischia di far dimenticare il consiglio che significa prudenza e riflessione. Infine la conoscenza del Signore significa intimità e confidenza con Lui, che però non deve far dimenticare la distanza che c’è tra l’uomo e Dio, cioè il timore della sua maestà e grandezza.

Non è forse questo che manca a noi uomini, l’equilibrio e l’armonia tra le parti del nostro carattere? Lo squilibrio è la più penosa delle cause per ogni nostro fallimento, la più insidiosa da riconoscere perfino, dal momento che ciascuno di noi tende ad esaltare o assolutizzare quelli che a suo parere sono i requisiti più importanti dell’uomo nei confronti della vita o anche nei confronti di Dio. Ma, direbbe l’autore della lettera agli Ebrei, vediamo Gesù, e in lui scopriamo l’umanità più bella che mai abbia vissuto sulla terra.

Il futuro che possiamo aspettarci

Lo sguardo del profeta si eleva subito dal Messia al futuro che egli garantisce con la sua persona, diremmo quasi una irradiazione della sua bellezza e proporzione. Chi di noi non spera in qualcuno che sorga sulla scena a farsi carico di portare nel mondo giustizia e pace? E quanti non sono venuti, lungo i secoli e millenni, a proporsi come capaci di produrre quello che gli uomini desiderano, salvo poi fallire miseramente? Essi semplicemente non potevano farlo, poiché non avevano in sé quanto occorreva. Isaia vede invece germogliare da questo Uomo un mondo ritornato all’armonia delle origini, una creazione finalmente liberata dalla maledizione e da ogni schiavitù. Tutta la Scrittura testimonia la realtà di questo futuro, di nuovi cieli e di una terra nuova in cui avrà dimora stabile la giustizia. Ne parla ad esempio san Paolo nella lettera ai Romani quando dice: “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sapppiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” (Rm 8,19-22)

Questa frase sembra affermare che solo quando sarà rivelata la bellezza dell’uomo sarà rivelata anche la bellezza della creazione, ma la bellezza dell’uomo sarà rivelata solo quando sarà manifestata la bellezza di Cristo: “Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria” (Col 3,4). Ora la gloria del cristianesimo è che tutto ciò non è solo al futuro, ma anche al presente. Dio sta muovendo la storia verso una nuova era che verrà, ma Egli la sta anche già producendo, essa è cominciata con noi e ancora non è del tutto visibile. Uno di questi giorni sarà tolto il velo e saranno manifestati i figli di Dio. Tutto ciò sarà compiuto interamente al ritorno del Signore.

Il funzionamento della via

Il vangelo di oggi ci indica infine come tutto questo può diventare per noi esperienza e non solo teoria. Gesù stesso esulta nello Spirito Santo nel dirlo, ma si tratta di una via non accessibile ai mezzi umani e alle nostre capacità, essendo opera di Colui che è “Signore del cielo e della terra”, cioè il Padre. Quanto abbiamo bisogno di comprendere che in nessun modo tocca a noi produrre la novità che Dio intende realizzare nella nostra vita e nella storia… La vita non è opera dell’uomo, né lo sono la gioia, la bontà, l’armonia, la bellezza, e le nostre azioni o la nostra cultura e le nostre competenze sono del tutto insufficienti a compiere queste cose, poiché non basta nulla che sia meno di Dio. “A te è piaciuto rivelare queste cose non ai dotti e agli intelligenti, ma ai piccoli”. Ciò non significa che ai dotti è preclusa la via, ma soltanto che i dotti non potranno trovarla e percorrerla per mezzo della loro dottrina e intelligenza, ma dovranno essi pure giungere a riconoscere che essa è dono gratuito di Dio, e farsi piccoli per accedervi.

Non vi è infatti che uno e uno solo in grado di aprire la via tra l’uomo e Dio, e questi è l’uomo Cristo Gesù, il Figlio di Dio eterno col Padre ma fatto uomo e reso in tutto uno di noi. Ecco il significato del Natale che tra poche settimane ricorderemo nella liturgia: la via che ci era preclusa ora ci è invece riaperta e non per mezzo di cose lontane o impossibili, ma nella familiare umanità di Gesù che ci mostra il bello di noi stessi e ci fa pregustare fin da oggi un’esistenza nuova.

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Padre nostro amabile, ti ringraziamo per queste parole che ci presentano così bene Colui che viene a significare per noi più di qualsiasi altra cosa. E ti ringraziamo perché lo Spirito ci conferma che tutto il bello che vediamo in lui deve compiersi similmente anche in noi e nella storia, quando gli animali perderanno ogni inimicizia tra loro e un fanciullo li guiderà. Fa’ che scopriamo la realtà di queste cose già oggi nelle nostre vite, per camminare da forti nelle vicende di ogni giorno. Te lo chiediamo per Cristo tuo Figlio. Amen.

Avviso ai visitatori

Nessun uomo può pagare a Dio il prezzo del suo riscatto.

 

LA CASTITA'

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Matteo 7:22

 
Molti mi diranno "Signore, Signore."
Allora io dichiarerò loro: "In verità non vi ho mai conosciuti".
 
 

La povertà francescana

 
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